![The Ingredient](http://media3.neff-international.com/Images/600x/MCIM02806192_The_IngredientMagazine_logo_final.png)
Philipp Kohlhöfer è un noto autore ed editorialista che si occupa di argomenti gastronomici in un’ottica scientifica. Con NEFF ha deciso di approfondire i segreti della vinificazione, sperimentandola in prima persona.
![La storia](http://media3.neff-international.com/Images/600x/19000617_wine_tales_ctm1_1800x1011.jpg)
LA STORIA
Non voglio diventare cieco, né fare qualcosa di illegale, né tantomeno rischiare di avvelenare mia figlia. Però vorrei provare a fare il vino. E lo dico in qualità di persona a cui mancano abbastanza diottrie da vederci poco chiaro anche da sobrio. Tuttavia, di recente, in occasione di una cena di compleanno nella Bassa Sassonia, quando la persona che mi ospitava è entrata con passo malfermo in cantina, alle tre del mattino, per poi uscirne brandendo orgogliosamente la sua grappa fatta in casa, ho scoperto che produrre bevande alcoliche “casalinghe” non è poi così difficile. E poi a me piace fare le cose da solo: costruisco mobili, levigo parquet, tinteggio muri, coltivo l’orto e cerco di riparare qualsiasi cosa. Gli amanti del fai-da-te sanno che il vero senso nella vita non sta nel consumare, ma nel fare. Allora perché non adottare lo stesso approccio anche con il vino?
![Alla fine](http://media3.neff-international.com/Images/600x/19000616_wine_tales_ctm2_1800x1011.jpg)
Dopotutto, gli esseri umani lo producono da migliaia di anni.
Esistono teorie secondo cui l’intera storia della nostra cultura sarebbe basata sul fatto che i nostri antenati volevano ubriacarsi, per cui hanno iniziato a piantare il grano perché gli serviva per produrre birra. L’idea non mi dispiace, e la cosa si fa evidente quando ricevo il set da vino per principianti: una damigiana per la fermentazione, un tubo (chiamato anche travasatore), una sostanza usata per chiarificare il vino (che in realtà non serve, basta lasciare che le particelle in sospensione si separino per decantazione) e un vinometro, uno strumento per la misurazione dell’alcol che sembra un po’ una siringa per le iniezioni. “Che cosa se ne farà?”, mi chiede la portinaia, a cui non sfugge nulla e che è sempre interessata a tutto. Rispondo: “La mia è un’iniziativa culturale”. Non dice niente, per cui aggiungo: “Sto contribuendo al progresso dell’umanità”.
![Ritratto](http://media3.neff-international.com/Images/600x/19000619_wine_tales_portrait_1800x2143.jpg)
Come si fa a fare il vino.
In sostanza, il mio compito consiste nel non fare niente. In fondo, la vinificazione non è poi così complicata: sta tutto nel saper aspettare. Ma cominciamo dall’inizio. Per prima cosa, ovviamente, serve l’ingrediente principale: mele. Vivrò anche ad Amburgo, ma vengo dall’Assia e, come si dice, puoi andartene dall’Assia, ma l’Assia sarà sempre parte di te. Pertanto, quando penso al vino, la prima cosa che mi viene in mente non è l’uva ma l’Apfelwein, il sidro servito nella tipica brocca di coccio bianca e blu chiamata Bembel. È una bevanda meravigliosa, da gustare in ogni momento dell’anno: fresca in estate e calda in inverno, con l’aggiunta di zenzero, cannella e chiodi di garofano (tra gli effetti più piacevoli, la si può sorbire convincendosi che essere alticci sia un bene, perché aiuta a tenere lontani i raffreddori. E poi, contiene molte meno calorie della birra o del vino d’uva). Per ottenere un sapore più particolare, è bene acquistare diverse varietà di mele. Vivendo in città, ciò significa che bisogna comprarle al supermercato in sacchi. Per produrre cinque litri di Apfelwein servono circa dodici chili di mele. Ogni mela va sbucciata, pulita e divisa in quarti prima di passare nell’estrattore, visto che, ovviamente, quel che serve davvero non è la mela in sé, ma il succo. Dal momento che non ho un estrattore, passo quella che sembra una giornata intera al telefono, nel tentativo di trovarne uno. Sebbene sia un problema che rischia di mandare tutto a monte, rende l’attesa ancora più emozionante. Una volta prodotto il succo (consiglio: è bene passarlo attraverso un canovaccio da cucina per rimuovere anche le fibre più fini), comincia il vero lavoro, cioè la pulizia. La damigiana, infatti, va sterilizzata con cura. Bisogna spazzolare l’interno con acqua bollente, strofinarlo con panni sterilizzati in acqua e poi passarlo di nuovo con uno scovolino per bottiglie. La pulizia è tutto e vale per qualunque microorganismo. Ci sono innumerevoli siti dedicati all’argomento, e in tutti si dice che “tutto deve brillare come uno specchio”. Ne va del sapore del prodotto finale. Allora pulisco. E pulisco. E pulisco. Sono talmente meticoloso che mi stupisco di non ritrovarmi in mano delle schegge di vetro, alla fine.
Ma, in pratica, è tutto qui. Il resto avviene praticamente da solo. Basta solo aspettare. Cioè, ovviamente prima bisogna versare il succo di mela nella damigiana, aggiungere il lievito e chiudere il tutto con il gorgogliatore. Quest’ultimo accorgimento è molto importante, perché consente all’anidride carbonica che si forma durante la fermentazione di uscire, evitando però di far entrare batteri. Se ci si limitasse a chiudere ermeticamente la damigiana, dopo un po’ questa esploderebbe per il continuo aumento di pressione. Ne verrebbe fuori una bomba al sidro.
![In principio](http://media3.neff-international.com/Images/600x/19000618_wine_tales_ctm3_1800x1011.jpg)
Volendo, è possibile vedere il vino che nasce, quando i batteri del lievito trasformano il fruttosio, generando alcol, come si deduce dalle bolle che cominciano a formarsi nel succo. Oltre alle bolle, si forma anche una leggera schiuma. Questa fase dura qualche giorno, ma l’intero processo richiede circa due settimane. Perlomeno, così è stato nel mio caso, anche se può volerci più tempo. In generale, si considera un buon segno quando non si compaiono più bolle, perché vuol dire che il vino non contiene più acido malico e che il lievito si è depositato sul fondo. Fin qui tutto bene, tranne che per un piccolo particolare: dal momento che la procedura deve avvenire a temperatura ambiente, mi ritrovo la damigiana piazzata in cucina, sempre tra i piedi. A volte la sposto in salotto, ma il fastidio è lo stesso. Una volta provo addirittura a infilarla sotto al letto, ma avere il mio futuro vino così vicino alle lenzuola mi pare una pessima idea, per cui la riporto subito in cucina. Il lato positivo di tutto questo, però, è che chi viene a trovarmi può vedere il vino in lavorazione. Me ne vanto un po’, fingendo che sia un processo particolarmente difficile. Gli ospiti restano tutti molto colpiti. In particolare, le donne chiedono se potranno tornare ad assaggiarlo: un effetto collaterale niente male! Per un breve momento, questo mi porta a chiedermi se non sarebbe il caso di avviare un’attività vinicola, ma l’idea viene rapidamente scartata.
Una delle ragioni è che il mio sidro non è poi così buono (ma non è per il prodotto in sé: l’Apfelwein è delizioso!). Non so come sia successo, per cui comincio a chiedermi se ho lasciato troppa aria nella damigiana, senza riempirla a sufficienza, perché i batteri del lievito usano lo zucchero del succo di mela per la fermentazione solo se non hanno ossigeno a disposizione. Quando questo avviene, si finisce per produrre aceto invece del vino: non sarà il massimo da bere, ma mescolato con del bicarbonato è ottimo per pulire le tubature. Il mio sidro però non sa proprio di aceto: è soltanto molto aspro. Rileggo le istruzioni, ma i passaggi da seguire non erano molti. Mi sembra di aver fatto tutto correttamente. Magari le mele non erano buone. Oppure era semplicemente così che doveva andare.
Fortunatamente, vengo dall’Assia e quindi so che il sidro aspro può diventare una delizia con la semplice aggiunta di un po’ di limonata.